Nell’ultimo rapporto annuale INAIL della Regione Lombardia datato 30 aprile 2020 e riferito ai dati infortunistici del 2019 emerge che nella provincia di Milano e più in generale in Lombardia il numero di lavoratori che perdono la vita sul luogo di lavoro è in aumento rispetto al biennio precedente.
In particolare, nel 2019 sono state rilevate in Lombardia 120.221 denunce di infortunio, corrispondenti al 18,64% del totale nazionale, con un dato sostanzialmente stabile nel triennio (+0,33% rispetto al 2017, -0,10% rispetto al 2018).
Dal 2017 al 2019 le denunce di infortunio con esito mortale sono diminuite a livello nazionale dello 0,43%, passando da 1.161 a 1.156 mentre in Lombardia sono passate da 152 a 179 (+27 casi). L’aumento è da attribuire sia alle denunce di infortunio sul lavoro, passate da 100 nel 2017 a 123 nel 2019 (+23 casi), sia a quelle in itinere, passate da 52 a 56 (+4 casi).
Sempre in Lombardia nel 2019 le giornate di inabilità indennizzate dall’Inail sono state 1.697.394 pari, in media, a 82 giorni per infortuni che hanno provocato menomazioni e 16 in assenza di menomazioni mentre a livello nazionale, le giornate di inabilità sono state, in media, 79 (infortuni con menomazioni) e 18 (in assenza di menomazioni).
Infine, in Lombardia nel 2019 sono state protocollate 4.138 denunce di malattia professionale, in aumento sia rispetto al 2017 (+6,90%), sia al 2018 (+0,73%). Il dato è in linea rispetto a quello nazionale che ha registrato un incremento del 5,52% rispetto al primo anno del periodo in osservazione e del 2,93% rispetto al 2018.
Abbiamo provato ad analizzare questi dati non molto incoraggianti con l’Amministratore di Safetyone Ingegneria, società leader nella consulenza sicurezza sul lavoro a Milano e nel territorio lombardo.
Perché dopo oltre 25 anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94 (oggi D.Lgs. 81/08) la curva relativa agli infortuni e alle malattie professionali rimane costante?
Secondo l’Amministratore di Safetyone la risposta va ricercata nella competitività del mercato che ha ridotto la marginalità economica delle imprese (con conseguente riduzione dei budget dedicati alla sicurezza), nell’inserimento di maestranze straniere non adeguatamente formate, nonché nell’impianto normativo troppo complesso e di difficile applicazione per molte PMI.
Essere datori di lavoro in italiana è un mestiere veramente complesso, che richiede non solo capacità tecniche, manageriali e commerciali ma anche doti di problem solving per gestire le infinite incombenze burocratiche.
Spesso per molti titolari la soluzione migliore è semplificare, tagliare i costi e trovare scorciatoie, ma nell’ambito della sicurezza sul lavoro queste strategie non funzionano. La sicurezza è fatta di sostanza e di concretezza, anche se le decine di documenti imposti dal legislatore sembrano raccontare una storia diversa.
Parliamo ad esempio del ruolo del RSPP. Secondo la normativa, il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) è una figura apicale in tutte le aziende, preposta a stabilire idonee misure preventive e protettive, ma anche a realizzare un sistema di gestione della sicurezza (SGS) efficace e tutelante.
Questa è la teoria, nella pratica molte PMI scelgono il RSPP solo sulla base di parametri economici, senza valutare competenze ed esperienza pregressa, convinti di aver delegato tutte le responsabilità ad un soggetto esterno solo per il fatto che nell’acronimo del ruolo la prima lettera significa “Responsabile”.
Ma cosa succede nel momento in cui tale figura non ha alcun potere decisionale e di spesa? Che le responsabilità ricadono sul datore di lavoro in caso di infortunio sul lavoro.
Cosa succede se il RSPP non ha adeguate competenze? Che le responsabilità ricadono sul Datore di Lavoro per la “culpa in eligendo”.
Cosa succede se il RSPP non svolge correttamente il proprio ruolo? Che le responsabilità ricadono sul Datore di Lavoro per la “culpa in vigilando”.
La situazione peggiora ulteriormente quando il datore di lavoro decide di ricoprire direttamente il ruolo di RSPP dopo aver valutato che il costo del RSPP esterno risulta eccessivo in relazione al servizio erogato. La legge consente al datore di Lavoro, con un corso di poche ore, di poter ricoprire tale ruolo, ma senza una formazione adeguata, approfondimenti tematici e conoscenze pratiche, valutare i rischi nella propria azienda diventa pressoché impossibile anche per attività a rischio basso.
La soluzione in questi casi è trovare un RSPP competente ed efficace in grado di progettare, pianificare e verificare la sicurezza, senza cimentarsi in imprese impossibili…. scherza l’Amministratore.
Col passare degli anni il ruolo del RSPP è diventato sempre più complesso e ha richiesto competenze trasversali sempre più ampie. Oggi un RSPP deve avere competenze che vanno dal rischio incendio a quello atex, dal rischio sismico a quello chimico e non tanto per manie di protagonismo, ma perché lo richiede la normativa, che impone al Datore di lavoro di valutare tutti e sottolineo tutti i fattori di rischio e di avvalersi di consulenti esterni quando le risorse interne non consentono di valutare adeguatamente tali rischi.
I tuttologi non esistono, nessun tecnico che io conosca ha competenze su tutti i temi del D.Lgs. 81/08 e proprio per questo servono aziende specializzate, che hanno al loro interno tecnici e ingegneri operanti nei differenti settori della sicurezza sul lavoro.
Escludendo le aziende strutturate o che hanno sviluppato internamente competenze approfondite in tema di sicurezza sul lavoro, troppo spesso i Datori di Lavoro non sono in grado di valutare la differenza tra un bravo RSPP ed uno con competenze sommarie.
Il ruolo del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione è molto complesso e chi lo riveste deve avere ottime capacità manageriali e di problem solving, per evitare che la sicurezza si trasformi in un inutile elenco di adempimenti burocratici.
In caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali, l’efficacia di un RSPP si valuta in base alla sua capacità di mantenere indenne da responsabilità civili e penali il Datore di Lavoro e le funzioni apicali dell’Azienda, come abbiamo anche sottolineato sul nostro portale safetyone.it.
Ma in tutto questo la normativa in materia di sicurezza è efficace?
Nonostante indubbi passi in avanti, a mio avviso la nostra normativa è troppo complessa e farraginosa specie per le PMI, fatta di continue modifiche, interpelli e interpretazioni della cassazione.
Senza adeguate risorse, come fa una piccola impresa a stabilire programmi di miglioramento concreti e sostenibili, scale di priorità in funzione dei fattori di rischio e a valutare compiutamente tutti i fattori di rischio?
Serve sicuramente una semplificazione normativa, che renda le leggi in materia di sicurezza sul lavoro facilmente attuabili, anziché interpretabili, serve una riforma dei corsi sulla sicurezza che, anche a causa della pandemia e dell’e-learning, sono diventati troppo teorici e distanti dalla realtà dei luoghi di lavoro.
Dopo aver predisposto il DVR, nominato un RSPP esterno, formato il personale e fatto le visite mediche, cosa altro può o deve fare un datore di lavoro per evitare un infortunio o una malattia professionale?
La risposta è semplice, fare prevenzione anziché limitarsi ad adempiere a delle incombenze formali.
In 25 anni di esperienza nel settore della sicurezza sui luoghi lavoro, durante i quali ho spesso maturato esperienze più come avvocato che come tecnico, ritengo che la sicurezza sia fatta in realtà di esercitazioni, di addestramento, di istruzioni operative, di prove pratiche, di audit, di segnalazioni, di richiami, di sensibilizzazione e soprattutto di regole semplici e attuabili.
Ricordiamoci inoltre che dietro ogni lavoratore c’è una vita umana, una storia, una famiglia e che la forza di un’azienda si misura anche dalla capacità di salvaguardare la vita e la salute dei propri dipendenti.